Italia

I dibattiti europei che avevano dato vita all’Art Nouveau arrivarono anche in Italia, ma con molto ritardo. D’altra parte la situazione italiana era ancora estremamente complessa. L’unità nazionale era un fatto recente e i tentativi di imporre, anche in campo artistico, una fittizia coesione non sortivano nessun effetto reale al di fuori della retorica. Questo non significa che non ci furono spunti interessanti o personalità rilevanti che prestarono attenzione alle nuove idee. I problemi sociali e politici, uniti a quelli economici, non permisero però lo sviluppo dell’Art Nouveau nello stesso modo che nel resto d’Europa. Mancò quasi del tutto, come motore del cambiamento, la teorizzazione del legame tra arte e industria, dato lo stato di arretratezza in cui versava quest’ultima e, di conseguenza, mancò l’attenzione alla diffusione dei prodotti di uso quotidiano a costi contenuti. Il tentativo di rinnovamento rimase per lo più legato, da una parte, al vivace mondo dell’artigianato e, dall’altra, all’elite ricca e aristocratica. La base popolare non entrò a far parte della questione né nel campo dell’intenzione né, tanto meno, della fruizione. Questo non impedì la diffusione di una certa moda, che riguardò la borghesia, legata al gusto Art Nouveau.

 

Il termine Liberty, che verrà poi designare l’esperienza italiana, viene coniato proprio dal pubblico, per indicare lo stile degli oggetti e delle tappezzerie provenienti dalla ditta londinese Liberty & Co. e, in un secondo momento, le esperienze locali. Ma a questo livello rappresentò, appunto, solo una moda passeggera rivolta soprattutto alla produzione inglese senza nessuna consapevolezza della discussione teorica da cui aveva origine né della diffusione del dibattito e dello stile in tutta Europa.

 

Le nuove tendenze, come nel resto d’Europa, percorsero la strada dell’illustrazione e dell’architettura, oltre che delle arti decorative. In tutte queste manifestazioni il Liberty non fu uno stile definito e sostenuto; infatti approfonditi e univoci studi teorici non mancarono mai di evidenziare le contaminazioni degli stili del passato, soprattutto nel richiamo all’età classica e al Rinascimento. Dal punto di vista architettonico, edifici Liberty con caratteristiche diverse cominciarono a sorgere in tutta Italia, dalla più influente Torino, in cui lavorò Raimondo D’Aronco, alla ricca Milano di Giuseppe Sommaruga, fino alla Palermo di Ernesto Basile. In generale sotto la classificazione Liberty si trovano edifici dalla decorazione simbolica e floreale accanto ad altri dove è chiara l’influenza della Secessione viennese o in cui entrambi i motivi si mescolano a richiami medioevali, monumentali e classicheggianti.

 

Per quanto riguarda le arti decorative, non si può fare un discorso preciso e unitario allo stesso tempo. D’altra parte proprio il problema della mancata unità dell’esperienza artistica impedì che le tendenze Art Nouveau avessero una penetrazione profonda nel paese. Gli ultimi decenni dell’Ottocento avevano visto, al Sud, il rifiorire di un realismo di origine sei-settecentesca e, al Centro, la convivenza della tradizione macchiaiola toscana con un verismo su cui pesava l’influenza della scuola spagnola, soprattutto a Roma. Due erano, invece, i centri stilistici del Nord: Venezia, in cui sopravviveva il vedutismo canalettiano, e Milano, in cui accanto alla scapigliatura si faceva strada una vena tardo-romantica. Verso la fine del secolo una prima generazione di critici, tra cui Giuseppe Cellini e Camillo Boito, cominciarono ad aprirsi ai dibattiti internazionali e a sentire il ritardo dell’Italia rispetto agli altri paesi, senza però abbandonare la convinzione che l’unica valida fonte di ispirazione per l’arte fosse da ricercare nella tradizione italiana.

 

Solo dopo il 1885 la produzione straniera venne conosciuta da un cospicuo numero di artisti e le nuove idee cominciarono faticosamente a circolare. Uno dei veicoli di questa diffusione fu “Emporium”, una rivista nata sul modello dell’inglese “The Studio”. Nel 1898 a Bologna venne fondata “Aemilia Ars”, una società ispirata dall’esperienza dell’Arts and Crafts, che produsse vetri, ceramiche, ferri battuti, mobili, pizzi e merletti. La tappa più significativa per lo sviluppo e la diffusione dello stile Liberty fu però l’esposizione di Torino del 1902, voluta da un ristretto gruppo di artisti e intellettuali. Vi parteciparono numerose delegazioni straniere e per la prima volta in Italia le arti decorative vennero esposte in una sezione autonoma rispetto alle arti maggiori. L’effetto dell’esposizione proseguì in vivaci dibattiti, uno dei quali sulla rivista torinese “L’arte decorativa moderna”, che riguardarono la critica all’eclettismo e il bisogno di rinnovamento dell’arte decorativa. Non c’era, però, alcun accordo sulle forme che questo rinnovamento avrebbe dovuto promuovere.

 

La stagione del Liberty dall’esposizione torinese si prolungò oltre la prima guerra mondiale e non fu priva di contraddizioni. Già l’esposizione biennale di Venezia del 1903 si presentò come un’involuzione rispetto all’anno precedente, per la nuova negazione dell’autonomia dell’arte decorativa che non fu presentata in una sezione separata e per la scelta di privilegiare ancora il regionalismo. Le successive esposizioni misero in luce, da una parte, l’incertezza stilistica del Liberty italiano e, dall’altra, il suo essere sempre di più appannaggio di un’elite. Gli anni compresi tra il 1910 e la fine della prima guerra mondiale furono i più incerti ed inquieti. Il clima culturale italiano era dominato dalla figura di D’Annunzio e dal suo decadentismo misto al nazionalismo e, solo in parte, questo veniva contrastato dall’influenza della Secessione viennese. Gli scambi economici con l’Austria, iniziati all’epoca della Triplice Alleanza, avevano in qualche modo imposto anche la circolazione delle idee artistiche che vennero accolte in questi anni soprattutto nell’ambiente romano.

Itinerario Liberty - Planning and Realization - Stefano Pelosi - www.stefanopelosi.it